Tale svolta rivela un’ulteriore caratteristica dell’archivio, il suo anacronismo. Diversamente da ciò che si può pensare, esso offre infatti già di per sé la possibilità di muoversi arbitrariamente sulla linea spazio-temporale, sebbene solitamente prevalga il metodo di catalogazione cronologica. Al contrario, la selezione dei “prelievi” fotografici di Corradi non segue necessariamente tale ordine e, in parallelo, il contenuto fotografico (le stazioni di viaggio), forte della cristallizzazione dello scatto, assume un’eterna fattezza che sembra non subire l’azione del tempo. Ecco manifestarsi l’essenza poetica dell’immagine il cui atto – come ebbe a dire G. Bachelard – “non ha passato, almeno non ha un passato recente, lungo il quale sia possibile seguire ciò che lo prepara, la sua epifania.”
Al contempo, la necessità di registrare risponde in Corradi ad un approccio razionale che, come mostra la foto scelta a copertina del suo archivio, “Todi, 2018”, si incarna in un metro lasciato pendere fra le dita in primo piano. Un tentativo questo di monumentalizzare l’azione del misurare, che nella ricerca dell’artista si esplica nei suoi molteplici significati. Le distanze e le durate di chi è solito spostarsi sono passibili di quel relativismo che sconfessa l’universalità del numero, ma al contempo, questa dispersiva condizione promuove di converso il ritorno alla misurazione come resistenza alla perdizione geografico-identitaria. La formazione antropologica dell’artista gioca in tal senso un ruolo centrale, così come anche un altro suo lavoro fotografico sul contesto abitativo “La maison qui m’enveloppe”, nato da una performance in cui Corradi avvolge stretto intorno al volto il filo con cui ha misurato precedentemente gli spazi della propria dimora: un tentativo anch’esso di ricognizione spaziale, ricalcolata a partire dal soggetto – la donna – relegato da sempre in quel contesto.